Flavio Emoli

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Carriera

Di famiglia marchigiana emigrata nel capoluogo piemontese,crebbe nel vivaio della Juventus. Cominciò poi la sua carriera in prestito al Genoa, con cui esordì in Serie A il 10 ottobre 1954 nella sconfitta esterna per 3-0 contro l'Udinese. Tornato in pianta stabile a Torino dal 1955, con la squadra bianconera vinse tre Scudetti e due Coppa Italia, fino a diventarne capitano nella stagione 1962-1963.Passò successivamente al Napoli, nell'affare che portò alla società partenopea altri due calciatori provenienti dai piemontesi: Humberto Jorge Rosa e Bruno Garzena. Degli azzurri divenne a sua volta capitano nella stagione 1963-1964 per rimanervi fino alla stagione 1966-1967, nella quale la squadra arrivò quarta in campionato.

In carriera ha totalizzato complessivamente 245 presenze e 8 reti in Serie A.

Nazionale

Durante il periodo della militanza nella Juventus, disputò due partite con la nazionale maggiore, due con la rappresentativa B e una con la nazionale giovanile.

Emoli si racconta

«Giocare nella Juventus è stata un’esperienza che ha indelebilmente marchiato la mia vita. Forse sbaglierò, ma il fatto di essere stato uno della grande Juventus mi fa sentire, ancora adesso, importante, quasi di un livello superiore. Anche se so che i meriti di tutto ciò sono in minima parte miei».
Laterale di carattere indomabile e di ottima tecnica, è il comprimario ideale dell’argentino Sivori per il quale si sacrifica in rincorse asfissianti. «Il ruolo assegnatomi prevedeva che giostrassi da mediano difensivo, mentre Colombo si muoveva un po’ più avanti. Ma il buffo era che, mentre Boniperti mi spronava sempre ad avanzare, Ferrario cercava in tutti i modi di frenarmi. Insomma, ero il classico uomo di spinta, il maratoneta di centrocampo in genere ben preparato fisicamente, tanto che alla fine degli allenamenti rimanevo regolarmente in campo per effettuare allunghi e cross continui a favore di Charles, che voleva perfezionare il colpo di testa. Passavo, poi, per un duro e cattivo, mentre non sono mai stato squalificato per gioco scorretto; se ero aggressivo lo ero all’inglese ed entravo sull’uomo solo quando c’era il pallone di mezzo».
Era soprannominato Cuore Matto, come il ciclista Bitossi e il povero Renato Curi. «Avevo un’anomalia congenita al cuore che venne fuori, per la prima volta, quando avevo 23 anni, a seguito di un elettrocardiogramma. Il responso di quell’esame lasciava poche speranze, tant’è che, tre giorni dopo, il dottor Umberto venne al campo e mi disse che, forse, avrei dovuto smettere di giocare. Fu un colpo tremendo. I medici, che all’inizio avevano erroneamente individuato gli esiti di un infarto, in seguito si resero conto che, quell’anomalia, spariva quando il cuore era sotto sforzo, ma la nomea mi è rimasta per tutta la carriera».
Scolpito nella roccia, caparbio e generosissimo, Emoli, elargisce tesori di energie su ogni campo d’Italia. Diventa così un giocatore molto importante per la compagine juventina, tanto da diventarne il capitano.
«Scendevamo sempre in campo convinti dei nostri mezzi, anche nelle giornate storte; in fondo, l’accoppiata Charles-Sivori garantiva almeno 50 reti a stagione, quindi potevamo dormire ovunque sonni tranquilli. Certo, non ci fossero stati i famosi dissapori di spogliatoio tra Boniperti e Sivori avremmo, forse, potuto vincere ancora di più, visto che eravamo i più forti in assoluto. Era davvero un altro calcio; pensavamo soltanto a segnare tante reti, quasi un centinaio a stagione e non ci preoccupavamo se, magari, ne subivamo due o tre per partita. Questa mentalità ci rendeva più simili a giocatori della domenica che a fior di professionisti. Eppure, quando scendevamo in campo noi, lo spettacolo era sempre assicurato».